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Morgan
LE CANZONI DELL'APPARTAMENTO
Sony

Dice che è diventato grande. Messo da parte un po’ d’ironia. Disilluso (?), è anche più concreto. Molto è successo grazie (a causa di) due donne. Una, Asia (lui che è poeta la chiama Aria) gli ha aperto una ferita nel cuore. L’altra, Anna-Lou Maria Rio (il nome ricorda il titolo di un album. Pazienza) è la sua piccola figlia, che gli ha regalato “un’esperienza naturale ma anche straordinaria”. Sarà vero.
Di sicuro si capisce che Morgan-alias-Marco è un uomo che ama.
Si capisce dai testi, certo (banale): ma anche dal modo in cui respira la musica. Che è poi una musica bizzarra, classicheggiante, nata e cresciuta in un appartamento, proprio come facevano i bimbi una volta. E Morgan-alias-La-levatrice se l’è coccolata per due anni, prima di concederle il permesso di uscire. “Ho fatto tutto da solo, al computer. Poi ho chiesto all’Orchestra di Foggia di risuonarmi le parti sinfoniche”, spiega. Semplice.
All’inizio dovevano essere tutte cover, però poi no, “Ho pensato che la critica avrebbe pensato che non ero in grado di scrivere canzoni originali, e poi che mi avrebbe paragonato a Battiato: lo amo ma non sono uguale a lui”, ha confessato Morgan-alias-Il-dietrologo. Qualcosa del progetto iniziale, a dire il vero, è rimasto: “Non arrossire” era un pezzo di Gaber, “Se/If” roba che arriva dritta dritta da Roger Waters, e poi chissà, altre cover verranno (forse) con il prossimo disco.
Le nove canzoni scritte da Morgan comunque sono una delle cose migliori che abbiamo visto (sentito) in Italia da parecchio tempo a questa parte. Merito dell’appartamento milanese in cui sono state composte, e che l’autore ha adorato? Morgan-alias-Il-casalingo giura che tutto ha influito su questi pezzi; persino i muri, i tendaggi, la televisione che blaterava le solite sciocchezze. Non ambient music ma “musica ambientata”, “Canzoni dell’appartamento” è un contenitore coraggioso, che non ha paura (o forse ha proprio voglia) di sporcarsi le mani: roba nata per voce e pc, o voce e pianoforte e poco altro, che tiene a mente la tradizione e di lì si muove per andare altrove, oltre; musica di cui in fondo si può dire poco e niente, perché sfugge e cambia a seconda del modo in cui l’ascolti; a seconda del volume, ma anche dello stato d’animo e del tempo metereologico e di quanto vale lo stereo che ti hanno regalato gli amici (facendo colletta) quando ti sei laureato.
Morgan non è Pavarotti, e lo sa bene. Allora punta su qualcos’altro: sulla metrica e sulle parole che si sforzano sempre di sorprendere, sul ritmo, che a volte assomiglia a quello della forma-canzone più pura (“Non arrossire”), a volte si avvicina al poema sinfonico (“Altrove”); che a tratti lascia spazio al “vecchio” blues e lo reinventa (“The baby”), a tratti ripiega su un rock che avevamo dimenticato, e gli restituisce vita e dignità (“Se/if” ma anche “Heaven in my cocktail”). Non esagera, non vuole strafare, gioca con le parole e sceglie un numero ridotto di canzoni (undici) perché evidentemente sono quelle di cui è davvero convinto. Se ne frega di essere alla moda e infila tra gli altri un pezzo che si intitola “Canzone per Natale” (non male per un disco che esce a maggio), non rinuncia – per fortuna - alla sua antica presunzione paragonandosi a Bach (“come lui faccio roba che suona semplice. Ma il percorso per arrivarci è stato molto complesso"). Dedica un pezzo alla figlia, uno ad Asia/Aria. Ci mette amore.

 

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