Guida alla lettura dell'Orlando furioso BY NIC BIC
Il fine dell'opera è
dichiarato dall'autore stesso quando chiede al doge di Venezia il
"privilegio" di stampa: "per spasso et recreatione dei Signori et
persone de animo gentile..., per sollazzo et piacere di qualunche vorrà et che
se delecterà di leggerlo". L'impianto è quello proprio del poema
cavalleresco e concilia, per la materia trattata, le gesta d'amore del ciclo
bretone e le gesta guerresco-religiose del ciclo carolingio: il proposito della
sintesi è implicito nell'accostamento de "i cavalieri, le armi, le audaci
imprese" alle "donne, agli amori, alle cortesie", il tutto sullo
sfondo del conflitto che contrappone cristiani e saraceni. Questo allineamento
dei cicli già tentato dal Boiardo con l'Orlando innamorato è raggiunto
dall'Ariosto col furioso (e gioverà ricordare che furioso vale
"folle": l'aggettivo è esemplato, tra l'altro, sul classico
precedente della tragedia di Seneca Hercules furens): ma con l'Ariosto quella
che era fusione imperfetta e in certo modo giustapposizione, si trasforma in
unità estetica attraverso la genialità creatrice di una poetica irripetibile,
presenza costante nei 38.736 versi delle 4.842 ottave in cui si distendono i
quarantasei canti dell'ultima edizione (1532). E va anche osservato, in ordine
al titolo, che ciò che indusse l'Ariosto a far impazzire il protagonista non è
frutto di capriccio: l'immagine del paladino si è venuta logorando nel lungo
cammino della poesia cavalleresca e con l'Innamorato lo "smalto"
primitivo della "eroicità" del personaggio sbiadisce, il brillare
costante del paladino invitto, del grande campione della Cristianità s'è
offuscato: il "recupero" è possibile solo attraverso una fase di
"irrazionalità", la pazzia appunto; la temporanea "follia"
consente la "rigenerazione" del personaggio. Un riassunto schematico
dell'Orlando furioso, anche e proprio per la già ricordata
"finalità" e "destinazione", sarebbe, più che poco utile,
esteticamente inattendibile: né gioverebbe a questa inattendibilità la
registrazione di una semplice successione dei "fatti" svolta
cronologicamente canto per canto. E' forse più opportuno privilegiare le
figure, almeno alcune, dei molti personaggi in cui volta per volta si calano le
ambizioni, i capricci, le illusioni, le delusioni dell'autore, che divertendo
gli altri, non dimentichiamolo, diverte se stesso di episodio in episodio,
com'egli dice, "raccendendo il gusto col mutar esca". Si può peraltro
almeno dire che tre sole sono le "direttrici" che consentono una guida
senza dispersioni alla lettura del poema: la guerra tra cristiani e saraceni (in
certo modo questo conflitto - costantemente presente, in primo piano o nello
sfondo non importa - rappresenta l'unità di azione); la follìa di Orlando (del
"senso" della quale s'è detto sopra); le vicende di Bradamante e
Ruggiero (le quali, concluse con le nozze, giustificano il proposito
encomiastico dell'autore, che con quest'opera intende onorare la casata degli
Estensi col farne risalire le origini "eroiche" all'età di Carlo
Magno).
Gli esseri soprannaturali dell'"Orlando furioso"
Sono favorevoli al cristiani:
La Discordia: agisce per mandato di san Michele Arcangelo e riesce a fomentare
disordini e risse tra i pagani, fino a provocare la morte di Mandricardo, il
ritiro di Rodomonte, il ritorno di Gradasso alla sua terra, la solitudine di
Agramante: canti XIV, XVIII, XXVII.
Logistilla: impersona la Ragione e si avvale dell'aiuto di quattro ancelle, le
virtù "cardinali". Soccorre come meglio può gli eroi sfuggiti alle
lusinghe malefiche della maga Alcina; Astolfo riceve in dono da lei il Corno
magico, che ha il potere di mettere in fuga chi ne è sorpreso dal suono;
Astolfo ha la meglio su Caligorante, le donne omicide, Atlante, le Arpie; col
Libro degli incanti, anch'esso ricevuto in dono da Logistilla, Astolfo supera i
rischi di Orrilo e del palazzo incantato: canti VI, VII, X, XV.
Malagigi: dilettante di arti magiche e cugino di Rinaldo, fa fuggire il cavallo
di Doralice e fornisce informazioni a Rinaldo su Angelica: canti XXV, XXVI,
XXVII, XLI.
Melissa: fata; è la grande protettrice della casa d'Este; agevola l'unione di
Ruggiero e Bradamante: sottrae alla maga Alcina lo stesso Ruggiero, scioglie
ogni difficoltà alle nozze stesse, guidando Leone alla ricerca di Ruggiero
ormai deciso a morire di inedia: canti III, VII, VIII, XIII, XXVII, XXVIII...
XLV.
San Giovanni Evangelista: protettore degli uomini di penna, fa buon viso ad
Astolfo e lo guida sulla Luna, dove il suo protetto ritroverà il senno di
Orlando: canto XXIII.
San Michele Arcangelo: per adempiere alla volontà divina, sollecita il Silenzio
e la Discordia, successivamente conduce a Parigi le schiere dei cavalieri di
Rinaldo, rianima la Discordia incitandola a svolgere le sue funzioni nel campo
di Agramante: canti XIV e XXVII.
Silenzio: vanamente cercato in precedenza, viene infine rintracciato nella casa
del Sonno - altra personificazione del Poema - e accompagna a Parigi le schiere
di Rinaldo: canti XIV e XVI. Va ricordato anche il mago Merlino, la cui voce
giunge a Bradamante dalla cavità della grotta: canti II, VII, XIII, XXVI, XXXII.
Sono favorevoli ai pagani:
Alcina: ha la stessa funzione della maga Circe nella Odissea omerica:
rappresenta la passione sensuale; attirati con le sue lusinghe gli eroi, li
tramuta in bestie e in piante; cadono nei suoi lacci anche Astolfo e Ruggiero:
canti VI, VII, VIII, X.
Arpie: vengono allontanate da Astolfo; hanno messo a durissima prova Senapo di
Etiopia: canti XXXII e XXXIII.
Atlante di Carena: aiuta Ruggiero con le sue arti di mago e intende impedire che
diventi cristiano e partecipi alla guerra: cerca di trattenerlo prima nel
castello, poi nel palazzo incantato, (canti II, IV e XII; il palazzo verrà
distrutto da Astolfo, canto XXII; rivela i legami di parentela tra Marfisa e
Ruggiero: canto XXXV.
Svolgono invece una funzione alterna, secondo le circostanze:
I'anello di Angelica: ha il potere di arrestare la forza degli incantesimi e
passa per diverse mani; ha anche la capacità di rendere invisibili i suoi
occasionali possessori. Proprietà di Angelica, passa poi nelle mani di
Brunello: Bradamante glielo sottrae per passarlo a Melissa. Questa lo dà a
Ruggiero: da lui lo riottiene Angelica, che con esso riparte per il Cataio;
I'Ippogrifo: fantastico animale alato; ha prestato i suoi servizi ad Atlante, ha
trasportato Ruggiero fino all'isola della maga Alcina. Ruggiero ha però
imparato a dominarne le capacità straordinarie e lo guida a suo piacimento.
Grazie a esso Astolfo sale al Paradiso terrestre e riesce a raggiungere il mondo
della Luna: canti II, IV, VI, VIII, X, XI, XXII, XLIII. Astolfo infine gli
ridona la libertà.
I personaggi del poema: gli eroi cristiani
Astolfo: duca inglese, figlio di Ottone, è cugino di Orlando, di Rinaldo e
Bradamante, sorella di Rinaldo. La maga Alcina lo tramuta in una pianta di
mirto; riprenderà figura di uomo grazie alle buone arti della fata Melissa,
monta sull'Ippogrifo - "quello Ippogrifo grande e strano augello"
generato da una cavalla e da un grifone, confortato dal possesso del Corno
magico e del Libro degli incanti, e parte alla ricerca di avventure; non gli
mancano certo, perché deve lottare con i mostri Caligorante e Orrilo, è
presente alla giostra di Damasco, raggiunge la terra delle donne omicide (canti
VI, VII, XV, XVIII, XIX). Piegato ai suoi voleri l'Ippogrifo, s'innalza in volo,
raggiunge il castello di Atlante (canti XXII, XXIII), tocca l'Etiopia, dopo aver
sorvolato da un mare all'altro il paese dei Galli suscitando la profonda
meraviglia negli ignari terrestri; varcati infine i Pirenei, sorvolata la
Spagna, le Baleari, I'Egitto, in Abissinia scende alla ricca città di Nubia, su
cui regna Senapo. Questi, insuperbito della sua potenza (tra l'altro aveva in
suo potere gli Egiziani, perché dal suo capriccio dipendeva la loro esistenza,
avendo egli la possibilità di deviare il corso del Nilo), aveva concepito il
disegno di scalare il Paradiso terrestre. Raggiunto dalla vendetta divina,
ridotto in cecità e tormentato dalle Arpie, è consolato solo dalla profezia
che prevede la sua salvezza nella futura comparsa di un cavaliere volante
disceso dal cielo; il resto è prevedibile: quando Astolfo giunge è salutato
come il salvatore. In effetti riesce a far fuggire le Arpie col suono del corno:
esse riparano in una grotta che conduce all'Inferno (canti XXXII, XXXIII).
Successivamente Astolfo sale al Paradiso terrestre: incontra, nei panni di un
venerando vecchio che gli si presenta, san Giovanni Evangelista. Gli racconta
come il Padreterno, reso invulnerabile Orlando a difesa della Santa Fede,
l'avesse punito a causa del suo amore per una pagana: per questo Dio l'aveva
privato del ben dell'intelletto e costretto a errare senza vesti e delirante;
Astolfo (è stato così disposto dal Padreterno) dovrà salire nel mondo della
Luna e rintracciarvi il senno di Orlando. San Giovanni e Astolfo, in una notte
di luna, salgono sul carro del profeta Elia e raggiungono il pianeta; in tante
ampolle è conservato il senno di molti uomini, e nella più grande si trova
appunto il senno di Orlando (canto XXXIV). Astolfo ritorna sulla Terra; dopo una
dura lotta con Orlando, sempre "furioso", riesce a sopraffarlo e a
catturarlo con l'aiuto di Oliviero e Brandimarte; poi, fattolo trasportare da
Dudone fin sulla spiaggia, lo immerge, per liberarlo dal sudiciume di cui è
incrostato, nelle onde per ben sette volte; infine gli tura la bocca con alcune
erbe e avvicina alle sue narici l'ampolla: Orlando è costretto ad aspirare e a
riassorbire in questo modo il senno. Grazie all'intervento prodigioso di Astolfo
il paladino è del tutto rinsavito e pronto per le nuove avventure, libero dalla
passione amorosa che lo aveva ridotto a quel miserando stato (canti XXXVIII,
XXXIX). In precedenza Astolfo aveva ridonato la vista a Senapo, che per
ringraziamento gli aveva donato un esercito: riesce così ad avere una parte
determinante nell'assedio di Biserta. Infine Astolfo ritorna in Francia.
Bradamante: è sorella di Rinaldo figlia di Beatrice e Annone; destinata a
sposare Ruggiero, darà origine alla casa degli Estensi. Per questo motivo ha
parte più che cospicua nello svolgimento della materia poetica ariostesca.
Assomma in sé, nel variegato personaggio che rappresenta, sia le virtù eroiche
della cavalleria sia le più invidiabili qualità di una donna di amorosi sensi.
Si batte con Sacripante, re di Circassia, che Angelica ha scelto come difensore,
lo abbatte e gli infligge l'umiliazione di dover essere soccorso proprio da
colei di cui era paladino: infatti è Angelica che lo sottrae da una incomoda
posizione, perché, nel cadere sopraffatto dall'abilità di Bradamante, era
rimasto sotto il suo cavallo atterrato. L'umiliazione del superbo guerriero è
ancora più cocente per il suo orgoglio quando viene ad apprendere che è stato
abbattuto da una gentil donzella. Bradamante si incontra poi con Pinabello e
dopo varie peripezie, a cui non è estranea la malizia di Pinabello, riesce a
salvare la sua vita per le migliori fortune della casa estense (canti I, II).
Sarà Melissa, la propizia fata che aiuta le fortune degli eroi cristiani, a
rivelarle appunto il suo destino di capostipite degli Estensi: nella grotta di
Merlino, Melissa si mette in contatto con lo spirito del mago Merlino: sfilano
così dinanzi a Bradamante le figure del passato e del futuro più incisive per
le sorti non solo degli Estensi ma dell'Italia tutta. Appaiono anche, tra le
ultime, le immagini di Ippolito e Alfonso d'Este. Melissa, prima di staccarsi da
Bradamante, le insegna gli accorgimenti per farsi padrona dell'Anello incantato
e così liberare Ruggiero, che Atlante trattiene contro la sua volontà nel
castello d'acciaio; Bradamante riesce nel suo intento e grazie all'anello ha
ragione degli incantesimi di Atlante, ma appena libero Ruggiero sparisce di
nuovo, perché l'Ippogrifo, ammaestrato in precedenza dal mago, lo trascina in
cielo e giungerà in India. Bradamante si dispera, incontra di nuovo Melissa, la
quale le rivela che il suo amato è caduto nei lacci di Alcina: obliando la sua
dignità e immemore del suo amore è in balìa dei sensi e dei capricci della
perversa maga. L'anello incantato ritorna nelle mani di Melissa, perché
Bradamante la scongiura di raggiungere l'isola e tentare la liberazione del suo
innamorato (canti VI e VII). Dopo alterne vicende che vedono Ruggiero obbedire
alle buone ragioni di Melissa e lasciare Alcina, l'eroe ricade in un altro
inganno e si ritrova ancora in balìa di Atlante, in un castello diverso dal
primo. Lo raggiunge Bradamante e la loro gioia non ha limiti: gioia di breve
durata, perché dopo lo scontro con Pinabello, che Bradamante riesce a uccidere,
Ruggiero si rende irreperibile. L'attesa di Bradamante in Montalbano è vana:
Ruggiero non torna e a poco a poco la gelosia la invade; Marfisa è sospettata,
a torto, da Bradamante, che in uno scontro ha la meglio su Rodomonte. Infine
Bradamante e Marfisa si battono in duello; interviene Ruggiero, che per poco non
viene trafitto dall'inviperita Marfisa, quand'ecco, mentre la terra trema come
per un terremoto, si leva una voce solenne ad ammonire di cessare i contrasti:
fratelli e sorelle non devono alzare le mani gli uni sugli altri. E si spiega
l'arcano: lo spirito di Atlante (era sua la voce solenne che aveva impedito il
massacro) racconta che Marfisa e Ruggiero sono entrambi figli di Ruggiero II e
Galaciella; i fratelli di costei, ucciso il cognato Ruggiero, l'avevano
abbandonata in mare aperto, certi che annegasse; invece la sua buona sorte aveva
fatto arenare la fragile imbarcazione alle Sirti: qui l'infelice si era sgravata
delle creature che portava in grembo ed era morta dandole alla luce: i due
gemelli, appunto, Ruggiero e Marfisa; questi, raccolti da Atlante e nutriti da
una leonessa, furono separati presto dopo una razzia degli Arabi che rapirono la
bambina. Così Ruggiero crebbe solo, gelosamente custodito da Atlante. Quando
volle partire e allontanarsi da Atlante, questi era morto di crepacuore
ottenendo però da Caronte di mantenere integro il suo spirito fino all'incontro
presso di lui dei due gemelli. Quando Atlante termina il suo racconto, Marfisa e
Ruggiero commossi si gettano l'uno nelle braccia dell'altro mentre Bradamante è
raggiante di felicità: la sua gelosia non ha più ragione di essere. Marfisa
decide di abbracciare la fede cristiana e finalmente, dopo altre avventure,
Bradamante può coronare il suo sogno d'amore e dare avvìo alla gloriosa
dinastia degli Estensi, nonostante taluni pretendano di destinarla in sposa a
Leone, erede dell'imperatore di Costantinopoli (canti XXII, XXIX, XXXI, XXXV,
XLIV).
Brandimarte: figlio di Monodante, è il marito amatissimo e riamato della
gentile Fiordiligi; più che lo scudiero, è l'amico del cuore di Orlando;
sempre leale e fedelissimo a lui, ne va disperato in traccia dopo che,
dissennato, s'è allontanato da tutti. Accanto ad Astolfo si prodiga in mille
modi per giovare a Orlando, infine ha la gioia di essere accanto ad Astolfo nel
momento cruciale della salvezza, quando il contenuto delI'ampolla ritorna nella
sua sede naturale. Viene ucciso a Lipadusa e ottiene dalla generosità di
Orlando magnifici funerali: Fiordiligi l'aveva rintracciato da pochissimo tempo
(canti VIII, XIV, XXX, XXXVIII, XXXIX, XLI).
Carlo Magno: nonostante il grande rilievo che ha nella storia di questo periodo
dell'età medievale, la figura del monarca ha soltanto una funzione di contorno
nell'economia del poema: si potrebbe dire che la sua presenza è data come
indispensabile alla giustificazione esterna di tutta la vicenda; talvolta è
citato direttamente (canti XIV, XV, XVI, XVII, XVIII).
Orlando: signore di Anglante, cavaliere di Brava, è spesso indicato come
"il conte", senza altro titolo; è nipote di Carlo Magno per parte di
madre: Berta, sorella di Carlo Magno, l'aveva generato dalle nozze con Milone;
per questo, Carlo lo chiama spesso "nipote". E' presentato
costantemente come il più dotato degli eroi cristiani e come il più eroico dei
Paladini. Peraltro fin dagli inizi del poema appare irretito nella passione per
Angelica e spesso distratto dai suoi doveri di difensore della Croce e della
Spada, della Chiesa cattolica dell'Impero di Carlo Magno. Per Angelica e con lei
ha trionfato in India, nella Media e in Tartaria, "e in Ponente con essa
era tornato", con la speranza nel cuore di veder sanzionato con giuste
nozze da Carlo il suo amore. Ma Carlo, che ha il campo presso i Pirenei e sta
per ingaggiare battaglia con Agramante e Marsilio (rispettivamente figlio di
Troiano re d'Africa e re di Spagna) in quanto gli hanno sollevato contro i Mori
e gli Iberici, coglie l'occasione per rendere, se possibile, ancora più
combattivi i suoi eroi. Appreso che anche Rinaldo, cugino di Orlando, aspira
alla mano di Angelica, che pur pagana e discendente del re del Cataio gradisce
gli omaggi dei cavalieri cristiani, Sl Impegna ad assegnarla a quello dei due
pretendenti che fosse riuscito ad abbattere il maggior numero di avversari:
intanto Angelica viene affidata da Carlo al vecchio e saggio duca di Baviera,
Namo, in deposito fiduciario. Nel conflitto però i cristiani sono sbaragliati e
il duca stesso vien fatto prigioniero; Angelica fugge a cavallo, s'avvia per un
bosco, s'imbatte in un cavaliere, che riconosce per Rinaldo, alla ricerca del
suo destriero, il famoso Baiardo: riconosciuta da Rinaldo per quella che è
veramente, riesce a sfuggirgli. Intanto Orlando, pur non desistendo dal cercare
il suo perduto amore, ingaggia molti scontri e partecipa a svariate imprese: di
grande spicco è l'episodio di Olimpia, figlia del conte di Olanda e promessa
sposa del duca di Selandia, Bireno, che è insidiata dal figlio del re di
Frisia, Arbante. Orlando s'imbarca con Olimpia e raggiunge l'Olanda per liberare
Bireno prigioniero di Cimosco, padre di Arbante; qui giunto, propone una sfida
al re: perdente avrebbe dovuto restituire Bireno, vincitore avrebbe ottenuto
Olimpia; la buona fede di Orlando viene sorpresa: sta per essere circondato dai
suoi avversari che non hanno rispettato i patti, ma con la lancia ne infilza
sette e con la sua famosa spada fa un'ecatombe: volge il re in fuga, lo insegue,
si sottrae abilmente a un colpo d'archibugio e infine uccide il re della Frisia.
Soddisfatto per essere riuscito a riunire i due promessi sposi, si appaga del
possesso dell'archibugio che per poco non lo ha cancellato dalla faccia della
terra: non intende adoperarlo poiché pareggia i vili ai coraggiosi, e
maledicendolo lo scaglia in mare prima di far vela per Ebuda, col pensiero
sempre rivolto ad Angelica, ma non gli mancano occasioni per altri diversivi:
così interviene ancora in favore di Olimpia, rapita dai pirati e destinata agli
appetiti dell'Orca: Orlando riesce a sottrarla a questo destino (canti I, IX, X,
XI). Sempre in traccia di Angelica, capita nel castello incantato di Atlante,
ignaro che vi sono giunti anche Ruggiero, Sacripante e Ferraù. Nessuno si è
accorto che è presente anche Angelica: ha avuto l'accortezza di nascondere in
bocca l'anello fatato che le consente di vedere non vista. Era sua ferma
intenzione ritornare nel regno del Cataio e farsi accompagnare da un cavaliere
di suo gradimento, forse Orlando, forse Sacripante: è piuttosto incerta, poi
decide di privilegiare Sacripante e si toglie l'anello di bocca per rivelarsi a
lui e rivelargli anche le sue intenzioni. Senonché anche Orlando e Ferraù
ravvisano le sue sembianze e scoppia violentissima la mischia tra i pretendenti;
Angelica riprende la sua fuga, inseguita da loro, che per il momento
soprassiedono alla contesa uniti dal comune interesse. Angelica si ricorda
finalmente dell'anello e se lo ricaccia in bocca: la sua figura si dissolve e i
suoi inseguitori rimangono perplessi sul da farsi ; infine Orlando e Ferraù si
ingiuriano, passano alle vie di fatto, mettono mano alle spade: non vista,
Angelica si gode lo spettacolo, anzi si diverte a giocare un brutto scherzo a
Orlando, perché gli sottrae l'elmo incautamente abbandonato su un ramo e lo
passa, sempre invisibile, a Ferraù, il quale lo trova sull'erba, ai propri
piedi. Ferraù se lo porta via per sempre, bottino e trofeo di guerra di cui è
orgogliosissimo. Orlando riprende la rotta per Ebuda e avvista l'Orca: decide di
finirla una volta per tutte col mostro goloso di donzelle (è appunto destinata
a lei l'infelice Olimpia di cui Orlando ha sentito il lamento dallo scoglio a
cui l'infelice è incatenata) e provvisto di corde, di un'ancora e di infinito
coraggio dirige il battello verso il mostro che attende a bocca spalancata;
Orlando è svelto a incastrare l'ancora tra palato e lingua dell'Orca, perché
non possa più chiuderla; con la spada le fende l'orrenda gola, infine si getta
a nuoto e rimorchia il mostro ormai esanime sulla spiaggia. Anziché mostrare
gratitudine a Orlando, gli abitanti vorrebbero ributtare in mare l' eroe,
indignatissimo per questa slealtà da parte di chi riteneva di aver liberato da
un mostro; in realtà gli abitanti temevano le ire di Proteo e le sue vendette.
Allora Orlando ricorre alle meraviglie della sua spada Durlindana e con pochi
fendenti abbatte una trentina di infelici. Di avventura in avventura, Orlando ha
modo di sbaragliare due eserciti mori, di uccidere i ladroni che tengono
prigioniera la figlia del re di Galizia, Isabella, di apparire in nera veste,
come un cavaliere misterioso, a far strage delle schiere di Tremisenne e di
Norizia, che non possono quindi apparire alla rassegna ordinata da Agramante per
ridare i comandanti alle milizie ormai prive dei loro capi dopo tanti scontri
con i cristiani. Mandricardo, provando invidia per tanta capacità di
combattente (ha visitato i luoghi degli scontri e della carneficina compiuta da
Orlando), si mette sulle tracce del misterioso eroe e si batte con lui: ignaro
che si tratti del gran Paladino, dopo alterna fortuna nel combattimento presto
degenerato in corpo a corpo violento, è costretto dai capricci del suo cavallo
ad allontanarsi. Orlando lo attenderà invano per molti giorni, infine, dopo
aver deciso di ritornare al campo di Carlo, nel lungo cammino sta per
rinfrescarsi alle acque limpide di un ruscello, quando ha la rivelazione, cui
stenta a credere, che Angelica lo ha tradito. Purtroppo una scritta in arabo,
sull'entrata di una grotta, gli toglie ogni speranza: Orlando conosce troppo
bene la lingua araba per potersi ancora illudere. Come se non bastasse, un
pastore, credendo di poter placare la sua afflizione con un racconto d'amore,
gli narra la storia del bel giovane ferito di cui s'è innamorata la bella
figlia del re del Levante, che anzi, per sdebitarsi dell'ospitalità offerta a
Medoro e a lei, gli ha donato un gioiello a suo tempo ricevuto da Orlando. Per
Orlando è finita davvero: straziato, piangente, urlante, I'accoglie un bosco.
Tre giorni e tre notti vedono il suo ininterrotto tormento; il quarto lo vede
del tutto dissennato e da questo momento non si può che accettare quel che dice
il poeta: "Pazzia sarà se le pazzie d'Orlando/ Prometto raccontarvi ad una
ad una". Tra l'altro si scontra con Rodomonte e lo riduce a mal partito,
s'imbatte con Angelica e Medoro, che per loro buona sorte grazie all'anello
famoso riescono a sottrarsi alla vista di un pazzo furioso che li ha assaliti
(neppure loro hanno ravvisato nel demente lacero e sporchissimo il valoroso
paladino di un tempo) (canti XII, XIII, XIX, XXIII). Grazie ad Astolfo, infine,
Orlando recupera il senno, compie, questa volta da savio, infinite altre
prodezze; assedia Biserta, capitale del regno di Agramante, insieme con Astolfo,
accetta il duello propostogli da Agramante che è stato anche battuto in Francia
per mare e per terra. Lipadusa è il teatro dello scontro a cui prendono parte
anche Gradasso e Sobrino accanto ad Agramante e Oliviero, Brandimarte accanto a
Orlando. Brandimarte è ferito a morte; allora Orlando uccide Agramante e
Gradasso e veglia l'agonia dell'amico carissimo (canti XXVIII, XXXVIII, XLI,
XLIII).
Rinaldo: il signore di Montalbano è figlio di Beatrice ed Annone e fratello
quindi di Bradamante; considerato per la .sua virtù guerriera il secondo dei
paladini cristiani, è antagonista del cugino Orlando, perché quanto lui ha
l'animo caldo di "amoroso desìo" per la bella figlia del re del
Cataio. Quando Carlo è messo alle strette dai Mori e si trova assediato a
Parigi, non esita a varcare il mare per chiedere soccorsi in Inghilterra,
nonostante il mare sia avverso, i marinai contrari a lasciare Calais e.
soprattutto, l'animo suo sia sempre tormentato dal desiderio di non interrompere
le ricerche della donna amata. Anzi, affretta la partenza con la speranza di
ritornare prestissimo alle sue ricerche. La tempesta lo spinge verso la Scozia,
sbarca e s'inoltra nella foresta famosa per i cavalieri erranti della Tavola
Rotonda. Si ferma in un'abbazia, punto di ritrovo dei cavalieri, e apprende dai
monaci che Ginevra, la figlia del re, accusata di impudicizia sarebbe stata
bruciata viva se un cavaliere non ne avesse dimostrata l'innocenza; il re
avrebbe concesso in sposa la sua figliola, con una ricca dote, al nobile
cavaliere che si fosse assunto l'impegno di dimostrarla innocente delle orribili
accuse. Rinaldo non si tira indietro: in realtà a lui non importa molto che la
donzella sia pura o no, gli preme piuttosto far cadere una legge, che egli
considera iniqua, per la quale è passibile di morte la donna che è caduta in
una colpa d'amore. Attraverso Dalinda, una damigella di Ginevra che sta per
essere anche lei eliminata, Rinaldo viene a conoscere l'intera vicenda a: di
intrigo in intrigo si è resa possibile la credenza della colpevolezza di
Ginevra, perché Dalinda ne ha preso l'aspetto in una delicata circostanza,
assumendone le vesti e gli atteggiamenti. Ginevra è tutta sola nella sua
disperazione: anche il suo caro fratello Zerbino è lontano. Rinaldo, lasciata
in un albergo Dalinda, si affretta alla volta di Sant'Andrea, sede della corte;
tutto è pronto per il combattimento in campo chiuso: ma Rinaldo tra la sorpresa
dei presenti dichiara che il duello è inutile, perché può dimostrare
l'innocenza di Ginevra, che potrà così sposare il suo innamorato Ariodante
(canti IV, V, VI). Intanto a Parigi la situazione diventa sempre più difficile:
è bastato che Rodomonte penetrasse in città e si esibisse per poco, che tutti
fuggono: per la via di san Michele, affollata di popolo sbigottito, roteando la
spada fa orrende stragi, mutila servi, signori, sacerdoti, bambini; è un vero
castigo di Dio: non è valore il suo, è efferata crudeltà. Le case, quasi
tutte di legno, vengono da Rodomonte date alle fiamme. Per buona sorte dei
cristiani, guidate dall'arcangelo Michele, e accompagnate dal Silenzio, giungono
le milizie inviate in soccorso dall'Inghilterra e dalla Scozia: dopo aver
distaccato duemila cavalieri in soccorso di Parigi, Rinaldo provvede a gettare
ponti sulla Senna, vi fa passare il nerbo dell'esercito, lo divide in tre parti,
non prima però di aver arringato con nobili parole i baroni del suo seguito,
perché combattano con tutta la loro fede e il loro coraggio al servizio della
Cristianità in pericolo: egli poi si avvìa lungo il fiume alla testa degli
Scozzesi, cui tocca l'onore del primo scontro. Basta la notizia del suo arrivo
per sbigottire i Mori: soltanto il re Puliano, ma unicamente perché non lo
riconosce, osa farglisi incontro, ed è per lui la fine; subito dopo cade re
Lorano. Nonostante l'asta spezzata, Rinaldo piomba con la fida Fusberta nel
folto dei nemici. Gli infedeli sono in rotta anche per il sopraggiungere del
figlio del re di Scozia, Zerbino, ma traggono un insperato vantaggio, che
riequilibra le sorti della battaglia, dall'arrivo di Sobrino, Dardinello e
Isoliero. Più tardi sopraggiungono Ferraù e Agramante; ora tocca a Rinaldo
rianimare i cristiani che stanno per cedere: si slancia contro Agramante
Fusberta non fallisce il colpo e Agramante è sbalzato di sella. Viene anche il
momento di dare l'assalto al campo di Agramante stesso: Rinaldo alla testa dei
suoi si batte con accanimento, si scontra con Gradasso, che intende impadronirsi
di Baiardo, e con Ruggiero; ferito quest'ultimo, Rinaldo accetta di scontrarsi
ancora con lui, quando sarà in grado di affrontare la tenzone: la proposta di
Sobrino, di far decidere il conflitto da due campioni dei più prestigiosi
dell'uno e dell'altro esercito, non ottiene però l'auspicato risultato perché
Agramante, che in seguito agli scontri precedenti ha dovuto riparare in Arles a
ricostituire le sue schiere, su ispirazione di Melissa che gli si è presentata
per l'occasione nei panni di Rodomonte, ne turba lo svolgimento (canti XVI,
XVIII, XXXI). Successivamente Rinaldo sente più intenso il desiderio di
rintracciare Angelica (e anche Baiardo, perché Gradasso era riuscito a
impadronirsene) e chiesta licenza a Carlo parte per l'Oriente rifiutando la
compagnia di Guidone e Dudone. Mentre attraversa l'Ardenna s'imbatte nella
"fonte del disamore": vi si disseta, sente sopita per sempre la sua
passione e limita quindi le sue ricerche al solo Baiardo, che dovrebbe trovarsi
a Sericana; giunto a Basilea, viene informato dell'imminente combattimento di
Lipadusa. Si affretta a questa volta, si procura nuovo cavallo e nuove guide,
passa le Alpi, raggiunge Mantova e il Po, tocca Ferrara, e Ravenna e Rimini,
passa per Roma da Ostia raggiunge per mare Trapani: la folle corsa per l'Italia
non è servita, perché i venti sono avversi all'intento di Rinaldo e quando
raggiunge Lipadusa il combattimento è già concluso: sono morti, con tanti
altri, Agramante, Gradasso, Brandimarte (canti XLII, XLIII). Infine Rinaldo
apprende che l'eremita che ha curato Oliviero, ha convertito e battezzato
Ruggiero: già vincoli di gratitudine legavano Rinaldo al pagano che gli aveva
salvato in precedenza fratello e cugini e anche sentimenti di ammirazione per il
suo valore: con gli auspici dell'eremita, convinto che dal matrimonio sarebbe
discesa una valorosissima stirpe, Rinaldo promette in sposa la sorella
Bradamante a Ruggiero, con la piena approvazione di Orlando e Oliviero (canti
XLIII XLIV).
Zerbino: erede del re di Scozia e sposo di Isabella, ha accompagnato Rinaldo in
terra di Francia e dimostra tutto il suo valore nell'attaccare per primo,
secondo gli ordini ricevuti, i barbari che gli si fanno incontro lungo la Senna.
Mentre la furibonda mischia diventa sempre più pericolosa per i pagani, due
fratelli aragonesi e un guerriero di Barcellona riescono a sbalzare di sella
Zerbino e a uccidergli il cavallo; lo scozzese si riprende subito dalla sorpresa
e riesce a uccidere tutti e tre gli avversari, coadiuvato da altri cavalieri che
tengono impegnati gli altri avversari. In questa circostanza Agramante viene
atterrato da Rinaldo, anch'egli sopraggiunto in soccorso di Zerbino. E ancora
Rinaldo che abbatte un capo moro, Dardinello, e dopo l'episodio di Cloridano e
Medoro, consente involontariamente a Zerbino di incontrarsi con Marfisa e di
subire il racconto calunnioso dei torti che gli avrebbe fatto la moglie Isabella
(canti XVI, XVIII, XX). Più tardi Zerbino, sfuggito a una brutta morte grazie
all'intervento di Orlando sopraggiunto con Isabella da lui salvata dai
malandrini, nelle cui mani era caduta, pieno di gratitudine, "si getta a'
pie' del Conte, e quello adora, come a chi gli ha due vite date a un'ora".
Proprio in virtù di questa gratitudine Zerbino quando Orlando si allontana dai
due sposi e va incontro al suo triste destino, cerca di recuperarne le armi
gloriose che, ormai dissennato, il conte ha gettato insieme alla sopravveste
lacerata: sorpreso da Mandricardo viene ferito a morte e spira tra le braccia
della sua sposa disperata, che gli promette di non volergli sopravvivere ma
viene da lui dissuasa dal triste disegno. Isabella si ripropone di chiudersi in
un monastero (canti XXIII, XXIV).
I personaggi del poema: gli eroi pagani.
Agramante: figlio del re d'Africa Troiano, è il capo supremo dei Mori che
assediano Parigi, e in certo modo fa da contraltare al Carlo dei cristiani: come
questo, del resto non ha nel poema un particolare spicco. Svolge il suo maggior
impegno nel tentare di mantenere il buon accordo tra i suoi, costantemente in
contrasto per questo e quel motivo, non ultima la gelosia, come nel caso di
Mandricardo e Rodomonte innamorati entrambi della bella Doralice. Prende parte a
pochi episodi di rilievo e non ha occasione di poter vantare particolari virtù
di comandante prestigioso; si direbbe che la sua immagine sia volutamente
appannata dalla volontà ariostesca di dar più risalto alle qualità dei capi
cristiani. Quando apprende che Astolfo ha battuto i suoi comandanti in
sottordine sul suolo africano, si imbarca alla volta della sua patria per
salvare il salvabile, ma la sua flotta viene raggiunta e assalita da quella di
Astolfo: Agramante viene sconfitto anche per mare, quindi, non diversamente che
in terraferma: a Biserta Orlando ha espugnato la rocca. Raggiunta Lipadusa, con
altri capi saraceni, Agramante incontra la morte per mano di Orlando (canti XIV,
XVI, XXVII, XLII).
Ferraù: Figlio di Lanfusa, moro iberico, è anch'egli tra i "patiti"
della bella Angelica: per lei si scontra con Rinaldo e ha modo di dimostrarsi
cortesissimo cavaliere, quando il cristiano perde di vista Baiardo ed egli gli
propone di approfittare del suo: "con preghi invita" l'antagonista a
mettersi così con lui in traccia della bella fuggitiva, pur dopo essersi
scambiati colpi "cui non reggerian gli incudi". Avrà un duello anche
con Orlando (canti I, XII). Sarà infine vittima della valentìa di Bradamante:
disarcionato, ha dal suo vincitore l'incombenza di chiamare Ruggiero, di cui la
coraggiosa donzella vuol sperimentare la decantata bravura (canto XXXV).
Gradasso: litigioso e spaccone, il re di Sericana è tuttavia un guerriero
valoroso; insieme a Ruggiero, guidato da un nano, va a liberare i prigionieri
del mago Atlante. Ha parte in quasi tutte le baruffe per il suo desiderio di
intromettersi anche dove non sarebbe gradito. Si batte con Rinaldo dopo la fuga
generale dei Mori, quando non segue i fuggiaschi che trovano scampo in Arles,
perché ha sempre la speranza di recuperare Baiardo; incontra la morte per mano
di Orlando a Lipadusa (canti II, XII, XXIX, XXX, XLI, XLII).
Rodomonte: animato da cieca ferocia (ne dimostra un saggio nell'assalto di
Parigi) il re di Algeri è considerato il più forte dei condottieri
anticristiani; si favoleggia che discenda dal mitico fondatore di Babilonia,
Nembrot, noto anche come espertissimo cacciatore. Innamorato della bella
Doralice, ne è ricambiato, fin quando Mandricardo gli sottrae la fidanzata, la
quale dimentica presto l'antico amore; s'inizia una lunga contesa tra il re di
Algeri e Mandricardo, ma a decidere la propria sorte è Doralice: sceglie per
sposo Mandricardo (canti XIV, XVIII, XXVII). Rodomonte porta la confusione e il
dissenso in tutto il campo di Agramante, impreca contro la volubilità
femminile, si apparta in una foresta, sempre più misogino, fln quando
nell'incontro con Bradamante si riconcilia idealmente col sesso femminile; ciò
non gli porta fortuna perché nel duello con Bradamante ha la peggio e finisce a
capofitto nell'acqua di un fiume. Per la vergogna di essere stato sconfitto da
una donna si esilia per un anno dalI'umanità: quando ritorna tra gli uomini
accusa Ruggiero di fellonia, si batte con lui e dopo uno scontro dalle sorti
alterne perde la vita (canti XXXV, XLVI).
Ruggiero: il conte di Risa, in Calabria, nasce da padre cristiano, ma presto
orfano viene allevato nella religione pagana dal mago Atlante; del resto sua
madre era pagana e parente del re Agramante; per cui, quando il re saraceno
parte per la guerra contro i cristiani, egli lo segue senza esitare. In tutta la
vicenda del poema, l'Ariosto non dimentica mai che egli impersona il
capostipite, accanto a Bradamante, degli Estensi: anima "naturalmente
cristiana", destinata ad aprirsi all'autentica fede appena gliene siano
rivelati i valori, è costantemente rappresentato come autentico cristiano in
potenza, dotato per giunta di ogni qualità cavalleresca; bellezza, gentilezza,
fascino sono i connotati che lo distinguono tra i suoi. Quasi in ogni canto la
sua presenza campeggia: si potrebbe dire che il suo avversario maggiore è un
parente, il mago Atlante, che fa di tutto, conscio come è della sua
vulnerabilità nei riguardi del cristianesimo, per sottrarlo a questo destino, a
meno di non considerare l'eroina Bradamante che ha tutte le intenzioni di farlo,
prima o dopo, suo sposo. Strumenti per tentare di sottrarre alla conversione
Ruggiero sono via via il famoso castello in cui Atlante lo imprigiona la prima
volta e un altro maniero la seconda (dopo che ha perso a un tempo Angelica e l'ippogrifo),
I'anello incantato con cui Bradamante, ricevute le istruzioni dalla maga Melissa
per averlo, dovrebbe affrancarlo da ulteriori ritardi del matrimonio con lei.
Anche Ruggiero cade vittima delle lusinghe di Alcina e trascura quei doveri che
la lealtà impone ai guerrieri e che l'amore assegna a chi è realmente
innamorato: a trarlo di là sarà la buona maga Melissa, cui si è rivolta
l'ansiosa Bradamante (canti III, IV, VI, X). Ancora molte vicende attendono
Ruggiero; impegnato in esse, egli scrive una lettera alla sua innamorata,
adducendo le ragioni per cui ritarda a convertirsi: ha ricevuto un'angosciata
missiva dello zio Agramante, ridotto a mal partito, e non si sente di
abbandonarlo proprio quando le sue sorti sono pericolanti; è convinto di poter
raggiungere l'abbazia di Vallombrosa, dove ha appuntamento con Bradamante dopo
poche settimane (canti XII-XXIII). In realtà lo attendono ancora molte
avventure, alcune delle quali lo vedono impegnato aspramente con i guerrieri
della sua stessa fazione a opera della Discordia. Così si batte, tra l'altro,
con Mandricardo e lo uccide. Quando Agramante è messo in difficoltà non
soltanto in Europa ma addirittura in terra africana per la notizia
dell'invasione dei fanti di Astolfo con un sortilegio trasformati in cavalieri,
e riceve il consiglio (dato che Mandricardo è morto e assenti sono Marfisa,
Rodomonte e Gradasso, mentre gli eroi cristiani sono incoraggiati dalla presenza
determinante di Bradamante e Rinaldo) di risolvere il conflitto senza impegnare
tutto l'esercito che gli rimane, viene il momento per Ruggiero di salire alla
ribalta: un duello tra i due campioni più accreditati dovrebbe decidere le
sorti della sanguinosa guerra tra pagani e cristiani (canti XXX-XXXVIII). Il
vincitore di esso avrebbe designato la supremazia di un esercito sull'altro; se
questo esalta il guerriero prescelto dai cristiani, mette in grave tormento
Ruggiero, perché se avesse ucciso il fratello di Bradamante avrebbe perso per
sempre l'amore di lei. Bradamante viene intanto consolata dalle parole di
Melissa: penserà lei a far andare tutto per il meglio. Infatti per il momento
il duello viene sospeso: altri avvenimenti incalzano. Mentre Ruggiero è in
viaggio per l'Africa, una tempesta coglie la nave: scampa soltanto Ruggiero, che
raggiunto un isolotto mantiene fede al voto che aveva fatto mentre si dibatteva
tra le onde furiose: farsi cristiano, battersi per Carlo, sposare al più presto
Bradamante; un buon eremita lo soccorre, gli predice con cautela il suo avvenire
(gli tace però il triste destino che gli toccherà di lì a sette anni) e lo
battezza: egli sarà così cristiano e cristiana la sua discendenza che farà
onore all'investitura di Carlo e trarrà dalle sue parole "Este qui
signori" il nome della casa d'Este. Ma per i due innamorati non sono finite
le traversìe: i genitori di Bradamante hanno più alte ambizioni, vogliono
imparentarsi col re di Costantinopoli, al figlio del quale hanno promesso
Bradamante. Ma proprio Leone, cui questa dovrebbe andare in sposa, agevolerà
gli innamorati: e Ruggiero, del resto, ora > re anche lui, perché i Bulgari
gli hanno offerto la corona del loro paese. Finalmente si arriva alle sospirate
nozze: Carlo Magno "ne piglia cura; e le fa quali/Farebbe, maritando una
sua figlia./I merti della donna erano tali,/Oltre a quelli di tutta sua
famiglia,/Ch'a quel Signor non parrìa uscir dal segno/Se spendesse per lei
mezzo il suo regno". La gioia del momento non è neppur turbata
dall'apparizione di Rodomonte che accusa Ruggiero di fellonìa verso il tradito
Agramante: e neanche dalla sua morte per mano di Ruggiero, che si è visto
costretto a battersi con chi l'ha offeso. Il duello conclude il poema e in un
certo modo pone il suggello al trionfo dei cristiani sui pagani (canti XXV-XLVI).
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