PETRARCA

[SCRITTO IN LUCIDA xkè mi piace]

La fatica del vivere costrinse l’uomo a piegarsi sulla terra, per procurarsi uno

spiazzo dove riposare, dopo le ansie della caccia, battuto ancora il volto dal vento e

dalla pioggia. Gli sforzi della sopravvivenza gli imposero di rimuovere pietre, abbattere

tronchi, scavare radici, erigere ripari, per difendersi dalle fiere, temperare il freddo

oppure ristorarsi nelle ombre precarie, di fronte alle distese del sole cocente.

E quando prese a tirare fuori dal suolo altri nutrimenti a lui necessari, l’uomo fu

accecato dal furore della canicola sui campi, fu stremato dal sudore copioso giù dalla

fronte, fu abbattuto dalle tempeste, sfinito dalle carestie, umiliato dal pianto, che ne

segnò il dolore, sino dai giorni primi del suo difficile abitare il mondo.

Ma altro si presentava agli occhi stupiti: una radura di primavera; uno spiazzo

dove vola la farfalla; un prato dove ronza l’insetto; un corso d’acqua, dove la falena

sfiora le foglie; il declivio dove s’espandono i petali della bella giornata.

In luoghi come questi, riservatigli in dono da una sorte pur buona, l’uomo sostò

per istanti felici, contemplò le verdi cose prodighe, che la natura sapeva anche aprirgli.

In un posto, bagnato mirabilmente da acque chiare sotto il sereno, fresche in

mezzo alla vegetazione copiosa, e dolci perché soavemente lente nell’andare fra gli

steli, le foglie e i fiori; in questo posto Francesco Petrarca indugia, stilando le rime più

famose del suo Canzoniere (CXXVI).

Tra il profumo d’erbe e di petali, egli ricorda oppure sogna la figura femminile,

da lui amata sempre. La ricorda e la sogna come visione di membra piacenti, le quali

posano sopra il tappeto erboso e vi si lasciano ammirare, quale immagine unica, dinanzi

all’amore grande.

È la lirica dal titolo indimenticabile, secondo il suo verso primo:

Chiare fresche dolci acque

dove le belle membra

pose colei che sola a me par donna

Nell'andare dei giorni sulla terra, l'uomo si trova vicina la compagna, che la

natura gli ha posto a fianco.

La donna lo aspettava con i figli, da lei partoriti, dopo gli abbracci, che sono stati

sempre una fonte di piacere grande; lo accudiva dopo i pericoli e le fatiche,

allungandogli il cibo preparato, versandogli da bere e confortando soprattutto il capo

reclinato sulla sua spalla, pronto a piangere ancora l'uomo, dopo che l'animale gli era

sfuggito o dopo che il suolo s'era inaridito, senza far spuntare più nutrimento alcuno.

La donna gli si presentò quale amante, amica, sorella, e a lei salì allora il canto

virile, che era d'ammirazione, di riconoscenza e d'amore.

Francesco Petrarca dice di colei che egli ama e che reca il nome di Laura, dalla

fragranza delle foglie:

sola a me par donna

La figura femminile s'esprime attraverso il sorriso accogliente, la parola

sussurrata, il gesto affettuoso, l'ascolto attento e l'unione poi, grazie alla quale la gioia

diviene estasi e si fissano infine i due innamorati, mormorandosi la riconoscenza

reciproca.

Chi ama loda nella donna la virtù esclusiva, poiché vi gode l'alleata e la

consorte, la bellezza eterea e la presenza sicura. Dileguano e svaniscono via le altre, che

nulla possono al suo confronto. E ogni cosa da lei toccata, sfiorata, guardata, diventa

sacra, recando l'aroma pur remoto del suo esserci stata vicina; così è per il poeta il ramo

gentile, su cui la donna si posò una volta.

Evocando quest'immagine, Petrarca sospira, poiché la memoria ripresenta la

visione femminile; ma lo fa attraverso la nostalgia quasi dolorosa, come se quell'istante

radioso non dovesse tornare. Il ricordo non basta alla felicità, sospesa ancora nel fluire

del tempo.

Le erbe e i fiori accettavano amabili di farsi ricoprire dalla gonna, e il poeta

rammenta il seno di Laura, armonizzando allora l'indefinito contorno della figura con la

corporeità più desiderabile.

Vi sono occasioni nella vita, cui la natura tutta sembra donarsi: la donna amata

stava quel giorno in mezzo alle erbe e ai fiori, accanto alle acque chiare, fresche e dolci;

il sereno era spalancato, affinché divenisse completo il trionfo dei colori, sia nella veste

femminile, sia nel cielo.

Sullo sfondo dell'apoteosi naturale, là dove si rileva l'avvenenza femminile, è

l'amore che regna, ossia la condizione più alta, il cui respiro profonde felicità e la cui

perdita genera dolore.

Dolenti si pronunciano allora gli accenti di Petrarca, il quale lamenta la

disperazione, perché si sorprende solo e prossimo alla dipartita dalla terra. Ma

illuminata dall'amore s'è svolta la sua vita e una speranza aleggia in lui: dopo che il

corpo mortale sarà lasciato, s'innalzerà libero lo spirito di chi era stato dedito alla

contemplazione della figura diletta.

Se l'occasione raggiante dell'incontro è svanita, permangono i luoghi, dove

s'erano godute le visioni. Il poeta accarezza un'ipotesi eletta: Laura tornerà alla radura

fiorita delle acque; vi ricorderà l'uomo che v'aveva veduto, durante quella giornata

meravigliosa, e lo cercherà con lo sguardo.

L'esistenza ha decretato ostacoli, limiti, rinunce forzate, ma la vita ha previsto

anche i sogni, che non alzano ostacoli, che non segnano limiti, che non impongono

privazioni.

Potrebbe essere desiderosa e lieta Laura, volgendo intorno gli occhi in quell'ora

del suo ritorno; potrebbe commuoversi, ispirata dall'amore; potrebbe domandare pietà al

cielo per colui che è andato ormai dalla terra; e potrebbe asciugarsi una lacrima.

A questo punto del sogno, il poeta torna all'immagine, che ha acceso

d'ammirazione la sua vita, e scioglie poesia su un quadro, il quale s'eleva alle cime della

letteratura in ogni tempo.

Calano fiori sul grembo di Laura; siede lei nell'alone stupendo di colori e

profumi. Petali le scendono sulla veste affascinante; petali le scendono sui capelli

biondi, adornati d'oro e perle; petali giungono sul prato; petali giungono sulle acque;

petali vagano per l'aria e sembrano dire alcuni:

Qui regna amore

L'amore non è ristretto all'uomo soltanto: la pietra è stata accolta dalla cavità,

grazie all'amore, la goccia è stata accolta dalla zolla, grazie all'amore, il fiore è stato

accolto dall'aria, grazie all'amore, l'uomo è stato accolto dalla donna, grazie all'amore.

E l'amore trae in alto; così Laura, la quale sembra venuta propriamente dal

paradiso, e suscita per questo una sorta di timore magnifico. L'amore porge bellezza e

lega così la terra al cielo, apparendo celesti il portamento, il viso, le parole e il sorriso di

 

 

chi si venera. L'uomo non sa più dove si trovi, se in terra oppure alto nel cielo, non sa

nemmeno come sia arrivato all'incanto.

Ma chi ha visitato il cielo, indugiando nel luogo ammirevole, non può

staccarsene più, così come Francesco Petrarca da quell'erba.

Le parole scritte non hanno espresso tutta la meraviglia. Se ne fossero state

capaci, capirebbero in molti quello che lui intendeva narrare.

IL CAMMINO. Lungo le ore e gli anni, l'uomo passa di pensiero in pensiero. Egli

contemplava, quand'era bambino, la luce abbagliante dalla finestra, il tappeto rosso

sopra il pavimento dorato, il cielo alto di là dalla terrazza. Egli sarebbe rimasto

volentieri nell'età infantile, se non fosse stato obbligato poi ad apprendere i calcoli,

previsti dall'istruzione e a tante altre cose. Nelle epoche successive sarebbero aumentati

i pensieri, di fronte agli impegni della sopravvivenza, delle occupazioni, delle

professioni. E sarebbero aumentati anche interiormente, perché le domande sulla nascita

e la morte, sulla felicità e le sofferenze, sugli incontri e i congedi, sono sempre pressanti

e drammatiche.

Francesco Petrarca dà inizio ad una fra le sue Rime dal racconto più ampio

(CXXIX) con il verso:

Di pensier in pensier, di monte in monte

Dopo aver letto queste parole, noi possiamo levare gli occhi dalla pagina e

guardare lontano, evocando sia le distanze del tempo sia quelle dello spazio.

S’affollano nella vita di ciascuno i pensieri sul dolore provato oppure sulla gioia

inaudita; i pensieri sui rimproveri patiti, oppure sulle soddisfazioni conseguite; i

pensieri sulla figura amata e i commiati da lei; i pensieri larghi, quando gli anni del

passato si contano ormai numerosi, e quelli dell'avvenire sono pochi; quando abbondano

le memorie su un sorriso, scomparso in una stagione remota, su una frase, ascoltata in

una sera serena; sulla mano che s'era stretta alla mano, andando per le luci di una notte.

Nel verso mirabile il poeta narra anche del cammino "di monte in monte".

Guardando sempre lontano, noi rivediamo i luoghi diversi di una vita: il

giardino, dove s'affrettava il bambino lieto; il viale dove camminava un ragazzo

all'aroma dei tigli; le strade; le città, dove si sarebbero svolte le sorti imprevedibili e

ricche; una festa; un sentiero nel folto; un prato di papaveri; un villaggio, apparso

nell'alba indefinita; un tetto, stagliatosi nell'azzurro; e un'altura, fra le cui rocce deserte

qualcuno vede il cammino, percorso tra vallate e colline, pianure e dirupi; "di monte in

monte", ora nella fatica della salita, ora nella gioia della discesa, ora nella sosta a

guardare.

Perché l'uomo si muove come fosse il suo compito unico quello di cercare

perennemente? Petrarca dà la risposta, sentendosi guidato dall'amore, al cui fulgore egli

si volge, trascurando allora ogni via, battuta dagli altri. Ma nel cammino e soprattutto

nella visione dell'amore, egli è solo; così com’è solo nelle circostanze disparate.

L'immagine più intensa è quella di qualcuno che si pone di fronte alle distese,

onde l'universo ama farsi rimirare. Il poeta racconta sé stesso, mentre si trova sulla

spiaggia, presso il ruscello oppure presso la sorgente, oppure fra due declivi, all'ombra:

ivi s'acqueta l'alma sbigottita

Il silenzio ristora l’uomo, frastornato dai rumori del mondo. Ma a causa delle

sorti alterne, governate dalla vita, noi sorridiamo oppure piangiamo, siamo timorosi

oppure sicuri: quando amiamo, la terra intera sembra corrispondere ai desideri tutti;

quando siamo certi del nostro sentimento ricambiato, ogni cosa sembra spalancarsi

all’armonia: il cielo si china su di noi, il mondo s’innalza insieme con noi, il fiore

germoglia, la goccia brilla, il sole sorge, e noi v’esponiamo il volto raggiante. Quando

sorgono però dubbi sull’amore, il giorno si fa grigio, gli oggetti diventano opachi, e

inutili si dilungano le ore.

Come Petrarca, il quale "si turba e rasserena" così fa ciascun uomo, che

smarrisca la contemplazione oppure la ritrovi, fissando la propria donna.

La vita non smette d’imporre mutamenti continui, oscillazioni della fortuna,

secondo il poeta, il quale soffre e gode, non preservando mai a lungo il medesimo

atteggiamento, negli istanti e nei giorni.

Francesco Petrarca torna al paesaggio iniziale della sua lirica:

Per alti monti e per selve aspre trovo

qualche riposo: ogni abitato loco

è nemico mortal de gli occhi miei.

Il quadro del viandante, che va per monti e selve, sfuggendo i luoghi abitati,

esprime di nuovo la scelta severa della solitudine, da parte di colui al quale produce

fastidio e molestia la compagnia umana, non conforme alla femminile presenza diletta.

A lei è dedicato, infatti, ogni passo, ogni pensiero, ossia il prospetto della vita in

comune, quando la quotidianità diviene fiabesca, e l’uomo vi sogna l’accoglienza

festosa e quasi commossa; vi sogna il divertimento comune ai racconti sul mondo

esterno, lasciato fuori della porta accuratamente chiusa; vi sogna gli abbracci sempre.

Francesco Petrarca esce con le domande tese d’ogni innamorato:

Or porrebbe esser vero? or come? or quando?

Egli sospira "un tempo migliore" e si regala le ipotesi magnifiche dell’amore

felice: i reciproci sguardi rapiti; il tocco delle dita, preludio ad altri tocchi; le parole più

tenere, sussurrate nella luminosità di una sera; lo stringersi lungo, nella vastità della

notte.

Ma il poeta vaga ancora solo. Raggiunge l’ombra di un pino alto od un colle, e lì

si sofferma; guarda una pietra e vi disegna idealmente le fattezze amate. La lontananza

da Laura non si riduce, e torna la disperazione.

Non è sufficiente mai l’illusione, occorre la forza concreta della vita, al fine di

godere l’amore. Il poeta non può accontentarsi delle immagini; come ciascun uomo ha

bisogno d’eventi tangibili. Egli sa che è meglio un’espressione dolce, sciolta dal viso

femminile, di mille riflessioni solitarie.

La vita alimenta la contemplazione, ovvero la poesia, la quale è vuota però,

senza i fatti.

Francesco Petrarca tenta di convincere sé stesso; prova a rassicurarsi; l’illusione

può forse bastare:

in tante parti e sì bella la veggio,

che, se l’error durasse, altro non cheggio

Egli scorge Laura nella penombra della radura, fra le erbe al sole, di là dalle

frasche più verdi, e la ammira sempre, guardando quanto la memoria gli porge. Egli la

vede

ne l’acqua chiara e sopra l’erba verde

La scorge altrove, ovunque si posi lo sguardo desideroso. Pare che il poeta provi

allora una gioia bastevole, se pur eterea.

Ma ecco l’avvento del "vero", come egli chiama le cose e i fatti della vita, la

quale "sgombra quel dolce error".

Il poeta siede sopra la pietra

in guisa d’uom che pensi e pianga e scriva.

Dalla lettura di questi versi emerge il pensiero fondamentale sulla poesia, la

quale non è quindi, insieme con l’amore, sogno soltanto, non è evanescenza soltanto,

ma è fisicità, corporeità, vitalità, che pur s’eleva di là dai fatti e dalle cose. E delle cose

e dei fatti la poesia ha bisogno, restando sempre nel giro della terra, con tutte le sue

fatiche, tutte le sue sofferenze e tutte le sue gioie.

Senza la donna, non potrebbe alzarsi il sogno di lei; senza la sua figura tangibile,

non potrebbe aleggiare il desiderio di lei. L’uomo vi pensa, ma anche piange e del suo

pianto scrive.

Dall’alto di una montagna può spaziare la vista, mentre affiora un desiderio

intenso, poiché la vita è mossa di continuo dal dolore e dalla felicità, rifuggito

naturalmente il primo, e desiderata sempre la seconda. Il poeta, che s’è consacrato alla

donna, non conquistata mai, misura adesso con gli occhi le sofferenze soltanto, venute

da questo suo amore, e versa lacrime, le quali gli offuscano il cuore oppresso.

Tra le sofferenze destinate all’uomo, ve n’è una, che prende i caratteri tristi,

dopo i molti anni del passato. Costoro si sentono lacerati dalla considerazione d’aver

lasciato scorrere i giorni andati, senza averli goduti, ossia senza averli vissuti

pienamente. Gran parte della vita è trascorsa e quanto poteva essere stato non sarà più;

invano è tramontata l’ora, che poteva essere copiosa di fatti contenti. Petrarca scrive:

allor ch’i’ miro e penso

Egli compie così i due atti della conoscenza, la contemplazione e la riflessione,

sapendo che la figura ammirata non è stata sua, e meditando sul dolore che n’è calato.

La contemplazione dona l’amore, ma il pensiero può dire che la figura amata non è stata

gioita mai: lei è vicina nella fantasia ma è remota dalla vista, dal tocco, dall’abbraccio.

E pure, tra gli estremi dell’ammirazione sconfinata e la necessità di vedere,

toccare, abbracciare, sorge pur tenue e sommessa la speranza: la fiducia che un sospiro

fluisca nella lontananza:

ed in questo penser l’alma respira

L’uomo abbattuto, prostrato, sfiancato avverte un balenio, una scintilla; e non

importa se torna poi il buio, perché una spinta pur sommessa a proseguire s’è fatta

sentire, e possono continuare le ore, i giorni e forse gli anni.

Francesco Petrarca suggella questa sua lirica, dal racconto ampio, con una

visione non dimenticabile.

In virtù della fantasia, ovvero della poesia, egli va di là dalle Alpi,

là dove il ciel è più sereno e lieto

Là, nella regione mediterranea, c’è un ruscello e profuma l’aria, grazie ad un

lauro fresco; là è il cuore di chi scrive, e là è colei che lo trae in alto. Qui invece, dove

egli pur scioglie il suo canto, qui c’è il corpo soltanto.

Forse senza volerlo, Francesco Petrarca dona con i versi ultimi di questa sua

canzone, Di pensier in pensier, di monte in monte, la spiegazione della felicità: essa è

concessa all’uomo, quando la vitalità assurge a visione pura, e quando la visione pura

resta concreta nella vitalità. Non importa se la visione pura è istantanea sempre. Un

lauro si può sfiorare con le dita, e toccare, mentre esala un aroma d’estate.

Un’immagine s’è formata in chi ha stilato tutto ciò, e resta essa in noi, mentre

guardiamo quanto è stato veduto e cantato.

La sezione di musica è una delle più carine, ovviamente ho bisogno di voi e del vostro aiuto io ho solo 12 anni.

TORNA ALLA HOME

mandatemi tutte le recensioni dei vostri libri cliccando qui  e avrete la password per entrare nella zona segreta di nick-zone...

CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................?????? CIAO VIVA LA LETTURA!!.........................................................??????